In questo volume il criterio scelto per illustrare il grande numero di mascheroni presenti a Trento all'interno e all'esterno degli edifici cittadini è stato volutamente legato ad un percorso, proprio per permettere al visitatore di avere un panorama per quanto possibile completo di queste presenze nel tessuto urbano.
Ma questo criterio non può concordare con un excursus di tipo cronologico, che si fonda su presupposti ovviamente diversi.
La ricerca di Massimo Monopoli, incentrata sulle maschere, parte da premesse antiche, proprio per cercare la motivazione della loro esistenza e per comprenderne, per quanto possibile, il significato.
Comune di Castelrotto - Chiesa di San Osvaldo
Il saggio di Eriberto Eulisse, con un taglio squisitamente socio-antropologico, getta luce su molteplici aspetti del problema che hanno implicitamente legami con l'espressione artistica.
Come si dice nel saggio in questione, la presenza di maschere e mascheroni integrati nell'architettura ha radici molto antiche. Animali fantastici, "grilli" e mostri hanno popolato, come ha diffusamente dimostrato Jurgis Baltrušaitis, sin dai tempi più remoti, la scultura, la pittura, la miniatura, la sfragistica, frutto di quell'immaginario che da sempre è insito nell'animo umano, sempre pronto ad elaborare, come testimonia anche la letteratura antica, esseri fantastici come grifi, animali a due teste, felini con teste d'uccello, capre con teste umane, ecc.
Le rozze teste umane e di animali che reggono le archeggiature lapidee del lato su piazza del duomo di Trento sec. XIII (ancorché non siano frutto di restauri ottocenteschi) non si possono assimilare a mostri: sono rozzi visi senza espressione che guardano, muti, l'osservatore. Dobbiamo fare un salto di quasi tre secoli per incontrare, nell'architettura trentina del XVI secolo, maschere ed esseri fantastici, derivati dalla ricerca sull'antico dopo la scoperta fortuita delle "grotte" di Nerone, la Domus Aurea sul molte Celio a Roma, avvenuta alla fine del '400. La moda delle "grottesche" invade l'Europa ed a Trento, prima nella chiesa di S. Maria Maggiore (1520) e poi nel cantiere più importante del Rinascimento, il Castello del Buonconsiglio, pittori, scultori, stuccatori e orafi, contribuiscono a riprodurre, nella decorazione del Magno Palazzo (1527-1536) voluta da Bernardo Cles, i più disparati esempi di questa nuova espressione artistica.
Visi che nascono da intrecci vegetali, riprodotti pari pari dall'antico (come attestano le incisioni di Marcantonio Raimondi tratte dalle pitture di Raffaello e di Giovanni da Udine) si trovano nel portale laterale di S. Maria Maggiore, negli affreschi dipinti da Gerolamo Romanino nella Loggia del Buonconsiglio; arpie, quadrupedi con teste umane e d'uccello, maschere dall'antico, opera di stuccatori mantovani, si trovano nella Sala del Camino Nero.
Certamente le immagini dei volti grotteschi diffuse attraverso le incisioni di Giulio Romano e di Adamo Scultori dovettero essere presenti all'artista che eseguì il monumentale portone ligneo di palazzo Fugger-Galasso negli ultimi anni del '500: sulla parte alta dei due battenti due fauni spalancano le bocche in smorfie beffarde, mentre nella parte inferiore un volto maschile ed uno femminile, dai lineamenti sereni, paiono essere ritratti.
Non dimentichiamo che le incisioni di Giulio Romano ebbero grande influenza in territorio veneto anche su Bartolomeo Ridolfi, stuccatore ampiamente lodato sia dal Palladio che dal Vasari, a cui si debbono i camini, realizzati alla metà del '500, che rappresentano orchi dalle bocche spalancate (anticipando di poco il famoso Orco del giardino di Bomarzo) nella villa Della Torre a Fumane, presso Verona ed a palazzo Thiene a Vicenza. Ad Ottaviano Ridolfi sembra spettare, invece, il mascherone con la grande bocca irta di denti che sorregge una balaustra nel giardino Giusti di Verona.
A questo ambiente pare essersi ispirato l'Alberti nei meravigliosi stucchi delle volte della Giunta Albertiana al Castello del Buonconsiglio (1686) dove mascheroni dai ghigni bestiali sono collocati nei pennacchi delle unghiature perimetrali delle due sale.
Ala - via XXVII Maggio
Con i volti scolpiti sul portale di palazzo Fugger-Galasso pare dunque inaugurarsi per Trento una stagione, che culminerà nel XVII secolo, in cui si verrà diffondendo l'uso di costellare i prospetti dei palazzi di mascheroni di antico retaggio apotropaico.
Diretta conseguenza di queste raffigurazioni paiono i mascheroni che si trovano sui conci in chiave a palazzo Garavaglia e che verranno ripresi, nell'800, nel battiporta metallico del portone d'ingresso.
Nella seconda metà del Seicento, in un numero cospicuo di interventi architettonici sulle facciate di molti palazzi cittadini e della collina, cominciano a comparire volti barbuti che sembrano nascere dai conci in chiave. Sono gli esempi di villa de Mersi di palazzo Malfatti.
Certo questi mascheroni si rifanno ad esempi plastici più importanti, quali gli omenoni che reggono i balconi di palazzo Sardagna.
Nella decorazione della facciata di palazzo Sardagna, inoltre, comincia ad affacciarsi l'uso di utilizzare i conci del contorno delle finestre di ordine rustico, rappresentandovi, come se fossero connaturati nella natura della pietra, come se da essa fossero naturalmente suggeriti, mascheroni dai pigli severi.
Stilisticamente affine a palazzo Sardagna, palazzo Trautmannsdorf presenta sulle sue facciate ed all'interno dei suoi androni, un numero cospicuo di mascheroni dai volti a volta minacciosi, a volte severi, a volte beffardi, a volte atteggiati a smorfie bestiali. Lo stesso si può dire per il nominato palazzo Malfatti.
A palazzo Bortolazzi, invece, un concio in chiave d'arco è un mascherone ancora atteggiato alla maniera di quelli di palazzo Fugger-Galasso, mentre un altro sembra voler ritrarre un filosofo.
Nel volgere del tempo, con il '700, smesso l'uso di adottare l'ordine rustico, i modelli si semplificano ed i mascheroni diventano sempre più rari fino a scomparire.
Diversi, quasi raffigurazioni di genietti buoni, sono i piccoli mascheroni a stucco di Domenico Quaglio (1754) che concludono in basso le cornici dei putti che rappresentano le stagioni nel salone di rappresentanza di villa Mersi.
Un esempio importante di decorazione scultorea basata su modelli antichi, ma da ascrivere al sec. XIX, è il portone ligneo della torre Conci. I modelli di riferimento sono chiaramente le candelabre a grottesche di tradizione raffaellesca, diffuse dalle incisioni di Marcantonio Raimondi, che negli anni 1583-1585 erano comparse nei soffitti dipinti di palazzo Lodron in via Calepina. Arpie, fauni, vasi colmi di frutti e fiori, si uniscono a mascheroni di tradizione antica e ad altri che si atteggiano a smorfie oscene, di tradizione semmai lombarda o piemontese.
Nel corso degli ultimi restauri di palazzo Geremia in via Belenzani, costruito sullo scorcio del XV secolo, fu smontato, in una camera del primo piano, un soffitto ligneo a travoni costruito al di sotto di un soffitto originale nel corso dei restauri del secondo Ottocento. I terminali di ogni trave erano costituiti da 90 protomi mostruose che si conservano ancor oggi. Non mi pare di riscontrare nella tradizione alpina orientale nulla di paragonabile a queste drôleries. Sembrerebbe peraltro di poter confrontare queste sculture neogotiche con altre simili, databili alla seconda metà del '400, che si trovano nelle Alpi occidentali, a nord di Aosta, nel castello di Sarriod de la Tour. Ed il bassorilievo che si trova nel pannello superiore destro della già nominata porta della torre Conci, sembra allinearsi anch'esso con modelli di tradizione alpina occidentale, ed ha un raffronto possibile con i mascheroni in pose oscene che ornano la parte inferiore degli stalli quattrocenteschi del duomo di Aosta.
L'Ottocento, con il suo revival gotico, non ci serberà a Trento se non pochi altri esempi di mascheroni plastici.
Michelangelo Lupo